“Cigni Selvatici”. Mostra personale di Hu Huiming
Alla Villa della Rinchiostra una mostra per esplorare la complessità della natura femminile
Inaugura il 5 marzo alle 17 la mostra “Cigni selvatici”, con il patrocinio del Comune di Massa. Nella Villa voluta da Teresa Pamphili l’arte di Hu Huiming sorprende il pubblico con un linguaggio delicato e senza tempo
La mostra personale dell’artista cinese Hu Huiming, che gode del patrocinio del Comune di Massa, nasce dall’idea di condividere aspetti, prospettive e riflessioni sull’essere donna nella contemporaneità. Ogni aspetto della natura femminile viene indagato dall’artista, nota a livello internazionale, che sperimenta una varietà di linguaggi per approfondire lati che vanno dalla libertà all’eros, fino a temi ancestrali come la maternità.
Le opere selezionate costituiscono il nucleo della ricerca più recente condotta da Hu, nella quale nuove prospettive si accompagnano a immaginari del passato, fra esotismo, rivendicazione del proprio corpo e del diritto di ciascuno di anelare alla felicità e alla realizzazione del sé più profondo.
Suggestioni oniriche che hanno qualcosa del Doganiere Rousseau, ma anche degli elementi più fantasiosi e non privi di humour di Hieronymus Bosch, si mescolano a una concezione intrinsecamente femminista della natura delle relazioni e del ruolo della donna nel mondo contemporaneo. Memorie di antiche divinità, dee della fecondità, guerriere e personaggi leggendari si incontrano con nature idilliache, tra sogno e utopia, per esplorare i sensi della femminilità nella realtà odierna.
L’arte di Hu dialoga con gli ambienti della Villa della Rinchiostra, sede del Museo Guadagnucci. Un luogo intriso di storia, nel quale si sono intrecciate le vicende più significative legate alla dinastia di Alberico, signore di Massa, diventa scenografia di nuove espressioni artistiche.
Nell’anno dedicato ad Alberico Hu è fra le personalità che hanno deciso di celebrare aspetti meno noti della sua dinastia, riecheggiando sogni, ricordi e suggestioni che rimandano direttamente agli insegnamenti delle grande donne Cybo-Malaspina, come Teresa Pamphili. Il suo nome, inciso sui marmi che costituiscono i portali delle stanze interne della villa, complica di ulteriori riferimenti l’arte delicata, ricca di emotività e significati sottili che aspettano di essere interpretati dagli spettatori.
Il titolo della mostra rimanda alla fiaba di Andersen, nella quale emerge con forza uno degli aspetti indagati dall’artista, ovvero la natura femminile disposta al sacrificio per proteggere i propri cari. Fiducia, abbandono, empatia, eros, natura protettiva, maternità sono alcuni dei temi principali, che l’artista ha trasposto in tele e installazioni per tutto il primo piano della Villa.
La voce dell’artista si mescola ai versi di poetesse italiane del Novecento, da Alda Merini a Patrizia Cavalli, e di artiste fondamentali del Novecento, come Leonora Carrington, in un allestimento colmo di rimandi e confronti con più sensibilità e prospettive.
L’inaugurazione della mostra avrà luogo domenica 5 marzo alle 17 e sarà visitabile fino al 21 marzo (nei giorni: dal venerdì alla domenica, orario: 10-18). Nel corso dell’esposizione sarà organizzato un incontro culturale nel quale si parlerà del ruolo della donna nella società attuale, fra arte, storia e sfide future.
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L’artista
Hu Huiming nasce a Jingdezhen, in Cina, nel 1990. A 17 anni inizia a studiare arte, in un percorso che la porterà ad approfondire la materia fino a Carrara, dove si laurea all’Accademia di Belle Arti.
Artista di livello internazionale, negli anni sperimenta vari media, dalla pittura al tessile, esplorando anche la body art, la performance e creando installazioni uniche per le varie realtà espositive alle quali è invitata a partecipare.
Tra le esperienze più recenti, oltre alle residenze d’artista al Cairo e a Budapest, ha partecipato alla mostra collettiva “Emergenti del XXI secolo” nella Basilica di San Lorenzo a Firenze e ha esposto in alcuni dei luoghi più d’avanguardia per l’arte contemporanea, dalla Fabbrica del Vapore a Milano allo spazio Thetis a Venezia, presentando le proprie opere anche alla Busan Art Fair (2020). Il legame con il territorio di Massa-Carrara è profondo e al Duomo di Massa si trova la sua copia da Caravaggio di San Matteo e l’angelo.
La curatrice
Classe 1995, Giulia Frigerio ha conseguito una laurea in Storia dell’arte contemporanea e Storia del costume e della moda. Carrarese di nascita, ha lasciato la città toscana per studiare Beni Culturali a Torino. Dal 2019, anno del ritorno a casa, scrive per diverse testate giornalistiche e attualmente è collaboratrice di riviste d’arte come Segno online e AW Art Magazine e per quotidiani come La Nazione.
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Cigni selvatici
Testo critico a cura di Giulia Frigerio
Introduzione
Un viaggio esotico che dalla Cina tocca Danimarca, Regno Unito e giunge fino in Italia. Un itinerario mentale, introspettivo, in grado di aprire nuove interpretazioni alla complessità del mondo femminile.
Cigni selvatici è un percorso ricco e multiforme, che fa del cambiamento il perno attorno al quale ruota l’intera ricerca dell’artista cinese Hu Huiming. Lo sguardo sul contemporaneo si offre allo spettatore attraverso un universo di fantasie, nel quale tradizioni, credenze e leggende, si mescolano fra loro, dando vita a immaginario fresco e intrigante, in grado di aprire nuove prospettive riguardo alla natura femminile.
Attività, modi di pensare, persino comportamenti e attitudini, sono stati preclusi all’universo femminile, che per secoli di storia ha risieduto nell’ombra, lasciando ampio spazio allo sfogo espressivo nutrito da società patriarcali e, più di recente, da un certo moralismo borghese.
La contemporaneità sfugge al lascito di una storia poco democratica e non si lascia ingabbiare facilmente sotto comode etichette.
Il mondo dell’arte non fa eccezione e dal secolo scorso si fa sempre più aperto al confronto, di genere e non solo. Dagli shooting painting di Niki de la Saint Phalle, che nel Parco dei Tarocchi ha creato un luogo dal sapore utopico per la celebrazione del corpo femminile, in tutte le sue forme, alle estreme performance di Marina Abramovic, che con Ritmo 74 ha messo a nudo, sfidandola sulla propria pelle, la natura umana, la storia dell’arte si è per certi versi capovolta, a favore di una femminilità gridata, fatta di provocazione e sogno.
La ricerca di Hu si inserisce nel solco di entrambi i motivi, che riesce a unire all’interno delle sue opere, trasognanti e sottili. I significati che queste nascondono sono solo suggeriti, come nella migliore tradizione orientale. Nessun bisogno di essere espliciti: l’arte di Hu è in grado di parlare per altre vie, senza mai scadere nell’univocità di una sola voce, di una sola interpretazione.
Non perdono, tuttavia, di immediatezza, le opere esposte, selezionate fra gli ultimi lavori dell’artista, nei quali ha maturato un maggior interesse per la rappresentazione delle metamorfosi, del corpo femminile che cambia, trovando armonie nuove. Abbracciando le proprie debolezze la donna – ma in generale ogni individuo - diventa più forte, giungendo a una consapevolezza diversa, che non fa che mutare e crescere con lei.
Le sezioni della mostra
Fatti non foste a viver come bruti
La mostra inizia nello spazio verde che circonda la Villa della Rinchiostra, nel rigoglioso parco dove una varietà di alberi saluta l’architettura di fine Seicento dell’edificio, che riecheggia il nome di una grande personalità femminile della storia locale, Teresa Pamphili.
Il primo elemento che si incontra, nell’avvicinarsi alla villa, è un’installazione site specific sospesa su uno degli alberi di fianco alla villa, realizzata per introdurre alla dualità che si ritroverà nelle opere esposte all’interno delle sale al primo piano.
La scala che notiamo pendere dall’albero, sospesa fra due dimensioni, è la rappresentazione del contatto fra due mondi, fra la natura e l’opera umana, ma anche materializzazione di un pensiero, della volontà di fuggire dalla realtà concreta e condurre un viaggio verso un universo di fantasia, intangibile, effimero, da cui la sua preziosità intrinseca.
La natura effimera del mondo di fantasia al quale si può accedere solo abbandonandosi alla propria volontà, liberandosi da schemi mentali prefissati e nocivi a più alte intuizioni, è evidente anche dalla scelta del materiale per l’installazione: la scala è composta da tessuti, con morbide imbottiture e dai colori sgargianti, realizzati per compiersi nella parentesi temporale dell’esposizione. Quasi un monito che esorta lo spettatore a non perdere ulteriore tempo e addentrarsi, con quel filo di sana paura che precede ogni scelta importante, in una nuova realtà, fatta di mistero e scoperta, fantasia onirica e suggestioni ancestrali.
Non è un caso che si trovi proprio su un albero, al confine fra il mondo della dura terra e fra il più alto, leggero, sublime stato del cielo, che da sempre è metafora di natura divina, straordinaria, ispirata.
La scala è spunto di riflessione per lo spettatore che si avvicina all’universo di Hu, chiave di lettura del suo pensiero e del desiderio di ragionare oltre ogni categoria prestabilita e lasciar vagare libera la mente, allenandola allo sforzo di uscire da sé per accogliere qualcosa di altro, diverso, nuovo.
Non sono al margine della tua storia
«Hai arricchito la mia vita, ma non sono al margine della tua storia»
Hu Huiming
Con questa frase dell’artista si potrebbe sintetizzare efficacemente il suo pensiero in merito alle relazioni e alle implicazioni di ogni tipo di rapporto in cui i sentimenti positivi predominano rispetto a tutto il resto. Passione, amicizia, affinità, ma anche amore materno, così sorprendentemente istintivo, innato.
Alla base vi è sempre una scelta, l’accettazione di un dono, di una presenza nella propria vita, dell’arrivo di una persona speciale. Nulla è frutto del caso, assecondando il proprio libero arbitrio possiamo scegliere come essere artefici del nostro destino, ognuno con i suoi modi e i suoi tempi. Sono esplorate così infinite possibilità: iniziando dalla tematica dell’eros, approfondito attraverso alcune tele che indagano la natura del piacere e della libertà di vivere appieno la sessualità, accettando il proprio corpo e le parti meno razionali del sé.
Amore come passione, ma anche intesa mentale – quasi una celebrazione delle affinità elettive – che si trasforma in emozioni profonde, in grado di far cambiare la percezione che nutriamo di noi stessi e di ciò che ci circonda. Scosse emotive percuotono alcuni dei dipinti di Hu, nei quali è facile immedesimarsi se si mantiene la mente aperta, al di là di ogni resistenza razionale. Il frutto di questa trasformazione è proprio l’acquisizione di nuove certezze, dischiuse dalla possibilità della maternità, che rappresenta un altro degli elementi dell’indagine dell’artista cinese. Maternità come dono inaspettato o come momento di arrivo, scelta ponderata, anche rifiuto talvolta: non vi è nulla di imposto nel mondo in divenire presentato da Hu Huiming.
Il corpo femminile diviene così il soggetto di un nucleo di opere, alle quali il pubblico può approcciarsi via via che prosegue la visita, attraverso le varie stanze della Villa, ognuna con un focus ben preciso.
Sembra quasi, avvicinandosi agli oli su tela, di poter cogliere riferimenti ad artisti come il Doganiere Rousseau, autore di tanti paesaggi fantastici nei quali spicca l’elemento esotico, ma anche qualcosa delle allucinate tele di Hyeronimus Bosch, che ha saputo dipingere visioni oniriche di inferno e paradiso, mentre sembra condividere l’ironia e la sensuale leggerezza con l’artista coreana contemporanea GaHee Park (1985, Seoul).
Lo stile quasi naive di Hu riflette stati interiori colmi di gioia, fantasia, gratitudine e consapevolezza, uno sguardo lucido che sceglie volutamente di abbandonarsi e lasciarsi andare al sogno. I suoi personaggi ondeggiano, con la sicurezza di chi sa di essere sulla strada giusta per raggiungere appagamento e pace interiore, in nature paradisiache, fatte di alberi frondosi, frutti succulenti e fiori dai profumi che sembra di poter cogliere solo standovi davanti.
Ogni sala rimanda a una poesia o a una frase di autrici, artiste, scrittrici italiane di ogni periodo, creando corrispondenze fra l’appartenenza al paese d’origine, la Cina, con la sua storia e le sue tradizioni, e l’Italia, il paese nel quale Hu ha scelto di stabilirsi per coltivare ed esprimere al meglio la propria poetica artistica.
Da Alda Merini a Patrizia Cavalli, passando anche per artiste internazionali come Leonora Carrington sono molti i riferimenti letterari a grandi donne del passato, con le quali si instaura un vivido dialogo che finisce per rafforzare il senso di solidarietà e condivisione femminile. Il respiro internazionale dell’arte di Hu si unisce così a un duplice senso di appartenenza: connubi che rendono il suo stile così inafferrabile e fresco.
Hai fecondato tutto il mio corpo
«Ti ho generato col solo pensiero figlio
e non sei mai sceso nel mio corpo come una buona rugiada.
Però sei diventato un’ape laboriosa, hai fecondato tutto il mio corpo
e a mia volta son diventato tuo figlio, figlio del tuo pensiero.
Forse, quando morirò, partorirò tutta la dolcezza che mi hai messo nel primo sguardo
perché figlio, ti ho guardato a lungo, ma non ti ho mai conosciuto.
Figlio figlio mio sognato, figlio ti ho solo pensato
non sei mai sceso nel corpo come una buona rugiada
ti ho guardato a lungo, ma non ti ho conosciuto mai»
Alda Merini, A mio figlio
Palloncini, trasparenze, giochi di luci e presenze ci circondano nella stanza dedicata al tema ancestrale della fecondità, per cui la donna è stata investita, in alcuni momenti storici, di ruoli speciali dovuti alla sua capacità di generare la vita.
L’istallazione Hai fecondato tutto il mio corpo parte dal ragionamento su questo dono, ma anche responsabilità, motivo di disaccordo, di crescita personale, di fragilità nascoste e debolezze che vengono a galla mentre tutto diventa una scoperta.
Superando le debolezze la donna diventa creatura indomabile, protettiva come solo l’orsa sa essere con i suoi piccoli.
È soprattutto qui che riecheggia il titolo dell’esposizione: Cigni selvatici. Il titolo trae ispirazione dalla fiaba di Andersen, nella quale una giovane principessa compie scelte difficili per salvaguardare la vita degli undici fratelli.
Anche a ogni livello dunque, legame familiare, indissolubile, fatto di comprensione, empatia, talvolta scontro, ma nel profondo resta parte di ciò che siamo.
Sei nat* per amare
«Non sono nata per essere ragionevole. Sono nata per amare, per essere felice, per odiare, per immaginare, per inventare, per capire e anche, di tanto in tanto, per essere ragionevole, ma non devo essere ragionevole»
Patrizia Cavalli, Con passi giapponesi
La piccola scultura in argilla racchiusa da una limpida sfera in plexiglass è l’unica opera plastica presente in mostra, se si escludono le due istallazioni site specific costituite dalla scala e dal Latte di sogno.
L’opera rappresenta un piccolo feto che riposa, in un sonno catartico, fisso in un momento di calma, all’interno della sfera-ventre materno. Un dono, una scelta, un arrivo inaspettato: sono tutte possibili interpretazioni, così come è libera la volontà di partecipare a una nuova vita, in tutta consapevolezza o seguendo il flusso di sentimenti che vi sta alla base.
L’interazione del pubblico e la riflessione che inizia dall’osservazione dell’opera completano l’istallazione stessa, che può assumere così vari significati a seconda della sensibilità degli spettatori.
Latte di sogno
«Arriva il giorno in cui
latte di sogno
Trabocca dal mio piccolo mondo»
Hu Huiming
Conclude il percorso ideale della mostra l’istallazione site specific Latte di sogno, titolo che rappresenta un omaggio alla grande Leonora Carrington, autrice de Il latte dei sogni. Dall’oblò di una finestra del primo piano esce, come limpido latte, l’opera cucita alternando tessuti leggeri a ricami delicati, accostando insieme elementi più grossolani ad altri più fini.
Il gioco di contrasti che ne deriva esprime in maniera eloquente la dolcezza sottesa alla condizione femminile, quando si tratta di condividere il proprio universo interiore, che diventa così nutrimento.
La mostra si arricchisce così di delicate venature, attraverso le quali gli spettatori possono riflettersi, come in uno specchio puntato verso l’interiorità. L’istallazione collega, come la prima opera incontrata in villa, esterno e interno, nel solco ideale di una natura votata alla dualità, sottile, ma comunque percepibile.
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